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La tragedia dell”ovovia Alagna – Belvedere con esplorazione della vecchia funivia Punta Indren

La ricerca dei resti dell’impianto che 50 anni fa causò il tragico incidente, ci porta oggi tra belle montagne di Alagna Valsesia.

 

In questo video scopriremo la storia di questa vecchia ovovia, dell’albergo Belvedere a cui era collegata, e cercheremo di esaminare anche tutti i reperti per capire come sia potuta accadere una simile disgrazia. Grazie ad alcuni video storici e alla documentazione tecnica rinvenuta dai nostri collaboratori, è stato possibile ricostruire il funzionamento di questo innovativo (per l’epoca) impianto di risalita, cercando di giungere a delle ipotesi che hanno portato al disastro del 1971.

Realizzata tra il 1949 e il 1950 dalla famiglia Grober per collegare il Belvedere di Alagna al centro del paese, l’ovovia di Alagna era senza dubbio un impianto d’avanguardia e moderno per i tempi, grazie alla notevole innovazione dell’ammorsamento automatico, adottata nell’audace progetto del prof. Ugo Carlevaro, noto progettista di funivie.

L’ammorsamento delle cabine avveniva tramite una rampa di lancio di circa 10 metri avviata da un motore elettrico (e in caso di black out da un motore a scoppio Lancia). Le cabine, spinte alla velocità di 3 metri al secondo, si agganciavano alla fune con una morsa azionata da due molle. L’aggancio era sempre un terno al lotto perché le cabine raggiungevano la velocità di 3 metri al secondo raramente perché l’accelerazione, condizionata dal peso della cabina, era evidentemente variabile. La distanza tra una cabina e l’altra era calcolata in modo empirico; l’operatore che faceva partire le cabine guardava nell’oblò di destra sulla parte lignea della facciata della stazione, e quando una cabina raggiungeva quel punto, faceva partire quella successiva.

L’impianto aveva 16 cabine, di cui 8 venivano tenute a valle e 8 a monte. La portata oraria era di 110 persone e il record lo raggiunse con l’affluenza di 980 persone (praticamente 12 ore di funzionamento ininterrotto!). Anche l’arrivo a monte era difficile perché le cabine in velocità costante venivano spostate su un binario morto e decelerate a mano. Il compito di prenderle e decelerale era affidato oltre che agli operatori, ai ragazzini del paese cui pare piacesse molto il gioco. Insomma un impianto funiviario agli esordi con il fascino e le pecche di un primo modello.

Alle 10.30 dell’1 agosto 1971, per l’impianto pioniere di Otro, il tempo si è fermato: erano passati 20 anni esatti dall’inaugurazione dell’ovovia. La cabina 8, che trasportava i ragazzi Ardizzola, giunta alla parete del genepì, tra i piloni 8 e 9, incominciò a scivolare sulla fune. Le bronzine all’interno della morsa che tiene agganciata la cabina alla fune, si consumarono per la frizione e l’accelerazione aumentò progressivamente, facendo schiantare la cabina 8 contro la 9 con un impatto violentissimo. La cabina 7 (su cui viaggiavano i genitori dei ragazzi Ardizzola, che assistettero impotenti al disastro) e 10 (su cui viaggiano Ivano Montresor e Angela Brocca) trascinate dalla fune sollevata dall’onda prodotta dall’impatto delle due cabine precedenti, furono spinte quasi a terra e quindi riportate in alto per giungere tra gli scossoni in stazione. La caduta della fune all’esterno delle rulliere fu la salvezza per gli occupanti della cabina 10, perché se l’onda avesse spinto la fune sul braccio del pilone, la fune avrebbe cominciato a incidere il braccio e la cabina si sarebbe incastrata contro il pilone per scivolare poi a valle. In entrambe le stazioni, nessuno si accorse dell’accaduto, poiché la fune, sollevatasi ben oltre le previsioni, non spezzò il filo di sicurezza, che stava nelle rulliere, ma uscì di sede e cadde fuori dal pilone.

L’ipotesi più riferita sulla causa del disastro fu che la cabina 8 fosse stata agganciata sull’impalmatura della fune, che nei 14 metri in cui viene intrecciata per unirla, risulta avere un diametro leggermente più grande. Questa ipotesi però non è mai stata certificata dall’inchiesta seguita alla sciagura. Molto più probabilmente si trattò di una torsione della fune, come riferisce Claudio Enzio, cresciuto “dentro la funivia” perché figlio del caposervizio Luciano Enzio.

Ancora oggi, a distanza di quasi 52 anni la cabine 7 e 10 sono li, appese, in attesa di essere spostate sul binario morto, come dopo ogni arrivo normale, le cabine 8 e 9 sono ancora a terra, accartocciate nel bosco.

La seconda parte del video riguarda la storia della vecchia funivia di Punta Indren, con una visita all’interno della stazione intermedia dell’impianto che giace abbandonata dal 2007.


    Questo articolo è stato redatto da Lost Structures

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